24 July 2012

Perché non lasciare che sia il mercato ad assegnare il rating al debito sovrano?


La tripla “A” assegnata ad uno stock di debito sovrano consente, allo Stato emittente, di prendere a prestito denaro a basso costo. È necessario, tuttavia, sfatare un tabù, per cercare di comprenderne al meglio il significato. Quel giudizio dovrebbe rispecchiare il grado di affidabilità e stabilità dei governi che emettono certificati rappresentativi del debito pubblico. Tuttavia, quel coefficiente di valutazione è frutto sempre e comunque di un’opinione tecnica, ma soggettiva, ed è un’indicazione relativa e non assoluta. Infatti, se le Agenzie di rating, che sono i soggetti deputati ad assegnare, secondo una propria scala di valori, un giudizio ai titoli del debito sovrano, procedessero con un downgrade di tutti i paesi, la situazione che si andrebbe a configurare non cambierebbe la sostanza dei fatti. In altre parole, quei paesi che ora occupano il vertice della classifica con la tripla “A”, continuerebbero a trovarsi in posizione di primato rispetto agli altri, pur avendo un rating più basso. La conseguenza rimarrebbe immutata, perché quei governi continuerebbero ad ottenere finanziamenti ad un costo più a buon mercato rispetto agli altri. Ciò si verifica perché il giudizio sul livello di solvibilità di un governo non è lasciato in balia degli umori del mercato, che, attraverso il meccanismo dell’incontro tra la domanda e l’offerta determina sia la quotazione di un titolo, sia il tasso di interesse implicito, ma ad un giudizio che, anche se derivante da analisi, studi e ricerche sui fondamentali di ogni Paese, resta pur sempre soggettivo ed affidato al sentimento del valutatore. Per ovviare a potenziali distorsioni interpretative e dipanare tutte le polemiche, oltre alle varie inchieste aperte da organismi di vigilanza (Consob) o giudiziari che ruotano intorno alla veridicità dei giudizi espressi dalle Agenzie di rating, può essere opportuno studiare un nuovo metodo, più automatico e meno soggettivo, di valutazione. La proposta è quella di affiancare il coefficiente di affidabilità ad una scala di valori dinamica, con range pari ad un quarto di punto percentuale, variabile quotidianamente (e non periodicamente). Al vertice si andrebbero a collocare sempre i paesi che offrono, per i propri titoli, il rendimento meno elevato (qualunque esso sia). In questo modo, ad essi verrebbe assegnato il coefficiente massimo di valutazione (equivalente all’attuale tripla “A”) e a cascata seguirebbero tutti gli altri. Il rendimento cui si sta facendo riferimento non è quello esplicito che costituisce la base per il calcolo delle cedole, ma quello implicito che scaturisce dalla quotazione del titolo sul mercato. Operando in questa direzione, il giudizio sull’affidabilità di un governo sarebbe demandato al mercato, che, fino a prova contraria, è sempre meno soggettivo di quello formulato dalle tre sorelle (Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s), in quanto derivante da numerose operazioni di scambio tra miriadi di operatori che investono direttamente nei titoli del debito sovrano. Il giudizio sull’affidabilità di un titolo andrebbe incontro ad oscillazioni quotidiane e verificato all’istante perché l’informazione sarebbe fruibile in tempo reale da tutti gli operatori sul mercato e non demandato a comunicati stampa emessi a sorpresa. In questo modo, si potrebbero avere due certezze: la prima, una maggiore stabilità nelle quotazioni, perché il coefficiente di affidabilità sarebbe automaticamente determinato da milioni di soggetti che investono direttamente in quei titoli, manifestando la personale fiducia nel governo che li emette; la seconda è che si eviterebbe di formulare valutazioni estrapolandole da analisi soggettive, che diventerebbero così inutili e inoffensive, essendo potenzialmente influenzabili da centri di potere. La critica che potrebbe essere mossa ad una simile proposta è che il mercato si muove in maniera irrazionale, perché il suo comportamento è il risultato di ciò che percepiscono gli investitori che in esso operano. Le valutazioni soggettive, invece, sono più razionali, perché frutto di analisi complesse ed elaborate, che prendono in considerazione più fattori. Nel mercato, però, si assiste in continuazione all’incontro tra la domanda e l’offerta, che porta sempre all’individuazione di un prezzo di equilibrio, che è accettato dalle parti in causa come il migliore in quel momento. Quindi, in un contesto di forte instabilità quale dei due comportamenti appare il più credibile? Quello che risulta dagli scambi che avvengono sul mercato e che riflettono la fiducia degli investitori o quello adottato dalle Agenzie di rating che fondano le proprie analisi su dati storici e prospettici? La partita rimane aperta, perché l’unica certezza in questo momento è quella che tra irrazionalità e razionalità non c’è alcuna differenza!
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Futurista dell'08 agosto 2011 con il titolo «Perché non lasciare che sia il mercato ad assegnare il rating al debito?»

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