25 August 2012

Controllo di Gestione: perché?

In un sistema economico nel quale le variabili in gioco acquisiscono continuamente sempre maggiore dinamicità, la Pubblica Amministrazione deve convincersi ad abbandonare quel ruolo di spettatore neutrale, entrando da titolare in campo per adeguare i propri standard operativi alle nuove pretese della Comunità che rappresenta. Nell’epoca attuale non è più accettabile che il Settore Pubblico si comporti come un soggetto passivo, aspettando la manifestazione dei fenomeni per reagire in emergenza, ma deve collocarsi nello scenario nazionale/locale come principale motore e promotore del cambiamento. Operando lungo questa direttrice, sarà possibile guidare il risultato delle proprie azioni, seguendo un percorso ricercato. E’ necessario, quindi, un atto di coraggio per prendere le distanze da quelle logiche gestionali antiquate che accompagnano ancora oggi l’assunzione delle decisioni. In un regime caratterizzato da turbolenza ambientale, il rispetto di precisi adempimenti consolidati nel tempo non rappresenta più una formula di successo. Occorre rivedere gli ingredienti della ricetta, per offrire al Cittadino servizi sempre più vicini alle reali necessità. Infatti, è riduttivo continuare a classificare il Contribuente come semplice “utente”, quando è più aderente alla realtà qualificarlo come “cliente”, avendo maggiore consapevolezza dei bisogni da soddisfare e, soprattutto, la capacità di operare delle scelte fra alternative. Se in passato l’omaggio alla norma implicava automaticamente il raggiungimento dei target, oggi l’attenzione deve convergere sul risultato atteso, ponendo i giusti interrogativi sulle modalità di raggiungimento e miglioramento. In altre parole, l’usanza di risolvere i problemi affidando alla prassi la soluzione deve lasciare spazio all’idea, che è in grado di disegnare, per ogni necessità, la decisione più appropriata. Per queste motivazioni, alcune Amministrazioni Pubbliche hanno percepito l’importanza del Controllo di Gestione come insieme di attività che supportano le decisioni, in grado di interpretare razionalmente gli output del sistema informativo esistente. In alternativa, si potrebbe lasciare tutto così com’è ed affrontare i problemi utilizzando le collaudate procedure, con la consapevolezza che «quando l’acqua arriverà alla gola, sarà inutile chiedersi se è potabile».
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice9/Settembre 2011 con il titolo «Controllo di Gestione: perché?»

19 August 2012

Quale turismo sostenibile?

Come puntualmente accade ogni anno, al termine di ogni stagione turistica si tirano le somme, chiudendo il bilancio, su ciò che il Levante ligure è stato capace di offrire al gitante e interrogandosi sulla bontà dei risultati ottenuti. Se la partita tra ottimisti e pessimisti non vedrà mai un vincitore, al ping pong delle dichiarazioni segue, con precisione, la conversione delle parole in numeri, per verificarne la corrispondenza biunivoca. Se da un lato, c'è chi sostiene che il turismo sia collassato rispetto agli ultimi venti anni, dall'altro c'è chi manifesta soddisfazione per aver registrato una crescita di presenze a due cifre percentuali. Pertanto, di fronte al solito "balletto" dei numeri, non è mai facile comprendere chi, alla resa dei conti, abbia ragione. Probabilmente, l'oggetto del contendere farà presto accertare che, nel complesso, si tratti di operazioni a somma zero. Ad uno sviluppo turistico in una località, fa eco la depressione registrata in un'altra, con l'amara consapevolezza che, in termini comprensoriali, nessuno può ritenersi soddisfatto. Eppure, non è difficile uscire dall'ambito del proprio campanile per osservare, valutare e considerare il comportamento degli operatori nelle Regioni a forte vocazione turistica. Se nella Riviera romagnola lo slogan che ha sintetizzato la scorsa stagione è stato "Comunicare per accogliere", in quella ligure si è assistito ad uno scontro generazionale tra chi desiderava un turismo all'insegna del divertimento, trasmesso dal linguaggio dei più giovani, a chi, invece, pretendeva un turismo improntato al riposo ed alla tranquillità, profuso dal vocabolario dei più anziani. Se nella Riviera adriatica, per mantenere elevati interesse e attenzione sul turismo anche in periodi di bassa stagione, si organizzano Conferenze su quello sostenibile, per ponderare al meglio le strategie da adottare su ciò che sarà il "turismo del futuro", in quella nostrana, al contrario, si entra in letargo, nella speranza che, prima o poi, le cose migliorino da sole. Le ragioni di una condotta differente rispetto ad altri trovano terreno fertile nella nostra Regione, perché il claim che promuove il turismo adriatico non si combina con quello in auge in Liguria: da noi non si può comunicare, altrimenti i decibel del tono di voce potrebbero disturbare il riposo e la tranquillità e nemmeno accogliere, perché il sorriso è elargito con parsimonia. E poi perché preoccuparsi del "turismo del futuro" se ogni volta che si ha la possibilità di organizzare qualcosa di innovativo, ci si volta indietro ad ascoltare le voci che vengono dal passato?
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suIl Nuovo Levante del 06 febbraio 2009 con il titolo «Turismo: il balletto delle cifre».

10 August 2012

Dalla rapallizzazione alla Città "groviera"

Quando negli anni Settanta del secolo scorso un Comune della Liguria era salito agli onori della cronaca, lo aveva fatto in seguito ad un processo di ricostruzione selvaggio e indiscriminato tale da indurre gli esperti a coniare il neologismo “rapallizzazione”, termine che trova stabile collocazione all’interno dei dizionari della lingua italiana. Oggi, invece, il fenomeno che interessa più da vicino un Ente Locale è quello meno conosciuto, ma più appetibile, che tende ad associare l’estensione del suo territorio ad un “groviera” (o “gruviera”) su scala più ampia. Poco importa se la dizione corretta è quella con la lettera “O” o l’altra con la “U”, perché il riferimento non è ad un prodotto alimentare Igp (Indicazione geografica protetta), ma ad una realtà meno saporita, collocata sotto gli occhi di tutti, o meglio, le ruote e i piedi di ognuno. Quindi, è inutile litigare sulla terminologia più opportuna da utilizzare per descrivere la vicenda, perché in entrambi i casi le lettere rappresentano, con una prospettiva diversa, la larghezza o la profondità della buca. Non occorre utilizzare gli strumenti a disposizione degli esperti per rendersi conto che le Città sono sempre più foderate di buche sia nei percorsi carrabili, sia in quelli pedonali, perché è sufficiente osservare guidatori e passanti quando si cimentano in slalom acrobatici di alta tecnica per scongiurare il rischio di trovarsi catapultati per terra al primo movimento falso. Ogni settimana un Comune denuncia mediamente uno/due sinistri per capitomboli (prevalentemente di pedoni), con un impatto negativo per l’Amministrazione in termini sia di immagine trasmessa/percepita, sia economico/finanziari. In primo luogo, ogni sinistro che l’Ente Locale segnala alla competente Compagnia di Assicurazione si ripercuote sullo stato di salute del malcapitato, manifestando con evidenza il livello di attenzione che un Amministratore pubblico riserva al benessere dei Cittadini e, più in generale, a tutti coloro che, quotidianamente, percorrono le vie urbane. Eppure, uno dei pilastri che accompagna costantemente il programma elettorale del Primo Cittadino è l’armonico connubio che deve esistere tra lo sviluppo di una politica turistica, che sappia accogliere il gitante in uno scenario non solo morfologicamente affascinante, ma anche in grado di offrirgli servizi pubblici per soddisfare le diverse esigenze, e il mantenimento di un elevato tasso di residenzialità, capace di trattenere i Cittadini sul territorio comunale per il buon livello della qualità della vita. In secondo luogo, ogni sinistro processato dall’Ente implica un peggioramento del tasso di premio applicato dalla Compagnia di Assicurazione sul valore assicurato, in quanto un rischio più elevato di sinistrosità dei percorsi urbani (carrabili e pedonali) comporta un potenziale maggior esborso sotto forma di risarcimento danni. E’ troppo facile, quindi, nascondersi dietro il paravento della polizza assicurativa per disinteressarsi allo stato di manutenzione delle strade/marciapiedi, destinando al loro rifacimento le briciole rimaste dopo la spartizione delle risorse tra “altre priorità” ritenute più prestigiose per l’immagine della Città, se non, forse, per la visibilità degli Amministratori. Non serve intervenire con lavori di manutenzione saltuari per tamponare le “ferite” che si aprono sull’asfalto o nelle isole pedonali, dimostrando così sensibilità e interessamento alle problematiche del territorio che si governa. E’ necessario tenere conto della ramificazione del paese, che comprende, oltre alle vie principali, anche quelle meno frequentate delle frazioni, intervenendo con una politica di investimento locale strutturale, in modo da stimolare l’economia del territorio e creando, a cascata, le premesse per tutta una serie di iniziative che impattano sul rilancio della Città, rendendola affascinante sotto angolazioni differenti. «L’attrattività delle città per il turismo e per gli investi­menti si decide in gran parte sulla qualità dei trasporti pubblici, dei marciapiedi, dei parchi e degli spazi pe­donali. E’ in questi luoghi che si crea l’identità della città, si corre o si passeggia, si guarda la gente in faccia, ci si incontra e ci si siede al bar, si ammirano le vetrine, si vivono le atmosfere, le mille luci della città» (Tratto da: «Costruire Città senz’auto» - Dossier 2009 di Legambiente). La programmazione degli interventi deve essere calibrata con più incisività, per evitare che, nell’attesa che trascorra il tempo biblico necessario per assumere le decisioni, si perda di vista la missione dell’amministrare la res publica. In alternativa, la Città perderebbe lentamente la sua identità. Allora non sarà più possibile correre o passeggiare per il timore di rovinare per terra, la gente non potrà più guardarsi in faccia, ma dovrà rivolgere lo sguardo in basso per vedere dove mette i piedi e si potrà sperare di incontrarsi, sedersi al bar, ammirare le vetrine e vivere le atmosfere, se non si cade prima dell’appuntamento. E se l’Amministratore pubblico illuminerà la Città con il suo linguaggio politichese per giustificare la lentezza della macchina comunale, deve sperare che, nel frattempo, una di queste luci, quella più importante, non si sia spenta sull’asfalto.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Semplice6/Giugno 2009 con il titolo «Dalla rapallizzazione alla città "groviera"»

2 August 2012

Politica monetaria espansiva: giù la maschera!

Come volevasi dimostrare, non è iniettando liquidità sul mercato che automaticamente si genera la crescita economica, anche perché quella massa monetaria, generosamente elargita al sistema creditizio, è servita solo ed esclusivamente a mettere in sicurezza le banche sotto il profilo della solvibilità. Infatti, di quella immensa torta di moneta, al sistema produttivo non è arrivata una briciola. Se, al contrario, fosse giunto qualcosa, allora sarebbe sufficiente guardarsi intorno per appurare che non ha indotto alcun beneficio. Quindi, c’è da chiedersi: siamo sicuri che la BCE (Banca Centrale Europea) è intervenuta sul mercato inondando di liquidità il sistema economico? Oppure, si è trattato di un fuoco di paglia, ossia di una operazione mascherata da altre finalità? Sono solo esempi, ma servono per far riflettere, il sostegno alle quotazioni dei titoli del debito pubblico è stato immediatamente sterilizzato per evitare degenerazioni inflazionistiche. Non solo! Ci sono altri effetti sottesi a quella operazione che anziché provocare benefici, nel lungo periodo rischiano di aggravare ulteriormente la situazione in cui versa il sistema economico. In primo luogo, gli interessi sul debito sovrano non sono più riversati sul mercato (per il tramite dei soggetti che li detenevano: banche, imprese, cittadini), ma incamerati nei forzieri dell’Istituto Centrale Europeo che ora li ha in portafoglio, con conseguente assorbimento di risorse dal mercato. In alternativa, per cercare di tamponare questo inconveniente, la BCE potrebbe decidere di ricollocare sul mercato (attraverso la loro vendita) i bond acquistati durante il periodo in cui erano forti le tensioni indotte dalla speculazione finanziaria internazionale. In questa circostanza, lo scenario apparirebbe ancora più grave del precedente, poiché, oltre ad incassare gli interessi nel frattempo maturati, realizzerebbe cospicue plusvalenze, grazie a quotazioni ben più favorevoli rispetto a quelle esistenti all’epoca degli acquisti. Il risultato finale sarebbe quello di drenare un’ingente massa monetaria, aggravando la respirazione di un mercato ormai asfittico. Infine, come ultima opzione (o, meglio, ultima spiaggia) l’Istituto guidato da Mario DRAGHI potrebbe allungare i tempi dell’agonia per effetto della politica monetaria messa in campo, lasciando giungere a naturale scadenza il portafoglio costituito dai titoli del debito sovrano. In quel contesto, lo stock del debito pubblico sarebbe rimborsato dagli Stati sovrani alla pari, con conseguente realizzazione di un ingente surplus derivante dalla differenza fra i corsi dei titoli al momento del loro acquisto (notevolmente al di sotto del loro valore nominale) e quello di rimborso (pari, appunto, al loro valore facciale). A conti fatti, sembrerebbe che la politica monetaria messa in campo dalla BCE sia stata restrittiva, mascherata da espansiva, con il rischio di portare il mercato verso un’ulteriore contrazione della domanda aggregata accompagnata, questa volta a ragion veduta, da un regime inflazionistico più elevato.
Autore: Emanuele COSTA
Pubblicato su: Il Nuovo Picchio7/8 Luglio/Agosto 2012 con il titolo «Politica monetaria espansiva: giù la maschera!»