24 October 2013

Introduzione al Controllo di Gestione

Sono ormai trascorsi più di dieci anni da quando il legislatore nazionale ha percepito l’importanza o meglio la necessità di introdurre, anche nella Pubblica Amministrazione, strumenti di gestione di derivazione privatistica. Il percorso di avvicinamento ad un sistema di amministrazione simile a quello in uso presso le aziende private è avvenuto in seguito alla progressiva emanazione di norme finalizzate all’inserimento della contabilità economica ad integrazione di quella finanziaria. Infatti, mentre la contabilità finanziaria rileva i fatti amministrativi solo ed esclusivamente analizzandone l’impatto monetario (entrata, uscita, avanzo/disavanzo), quella economica non esclude questa tipologia di rilevazione, ma la supporta con informazioni di natura economica (costi, ricavi, margini). L’orientamento dei provvedimenti, ancora a livello embrionale, hanno dato la sensazione di un opportuno repentino cambio di rotta rispetto ad un sistema di gestione delle risorse pubbliche basato sulla semplice misurazione contabile dell’azione amministrativa. Le norme che nel tempo si sono susseguite hanno costretto gli operatori a costruire le fondamenta per lo sviluppo step by step di un lavoro destinato a ridurre il gap esistente tra il modello gestionale delle aziende private, caratterizzato da elasticità/flessibilità, e quello delle Amministrazioni Pubbliche, improntato alla rigidità/complessità. Con la rilevazione dei fatti di gestione sotto il profilo economico, l’Ente Pubblico ha così affiancato le tradizionali informazioni finanziarie a quelle economiche, necessarie per migliorare la valutazione preventiva e prospettica di processi decisionali idonei per un efficace funzionamento della res publica. In quest’ottica, gli operatori del settore sono stati invitati, dall’input normativo, ad abbandonare schemi stereotipati, frutto di prassi preistoriche senza logica e di un radicato modus operandi informato al detto “si è sempre fatto così e bisogna continuare a farlo”. In pratica, gli attori sono stati sensibilizzati all’approccio di una filosofia di pensiero caratterizzata dalla concreta consapevolezza che una scelta amministrativa può avere una convenienza applicativa se analizzata anche in ambito economico, anziché limitare lo studio di fattibilità esclusivamente all’aspetto finanziario. E’ alquanto singolare che ogni indirizzo gestionale, che nel settore privato si colloca nell’alveo delle decisioni manageriali, limiti il campo di analisi confinandolo alla sterile verifica delle disponibilità finanziarie esistenti sul capitolo/intervento di imputazione della pertinente spesa. Infatti, è paradossale pensare che il perseguimento dell’interesse generale sia frutto di decisioni, che trovano in un documento di tipo autorizzatorio dei vincoli, anziché delle opportunità. In altre parole, qualsiasi deliberazione che impatta sul benessere collettivo (nazionale, regionale o locale) dovrebbe comprendere anche un’analisi di redditività, intesa come capacità di generare reddito o, in alternativa, utilità sociale. L’impalcatura del sistema contabile ancora in uso presso la maggior parte della Pubblica Amministrazione, unitamente ad una scarsa cultura manageriale propensa al cambiamento, giustifica la differenza di terminologia utilizzata per definire il modello gestionale come:
a)      flessibile/elastico, per il settore privato;
b)      complesso/rigido, per l’ambiente pubblico.
La flessibilità/elasticità nasce dalla capacità e volontà del management aziendale di modellare decisioni già adottate con rapidità per:
a)      sfruttare opportunità precedentemente ignorate;
b)      reagire a minacce provenienti dall’ambiente esterno/interno;
nel rispetto di un obiettivo generale condiviso all’interno dell’Organizzazione, che trova la sua giustificazione nella necessità di continuare ad esistere sul mercato. L’azienda, quindi, si configura come entità che, dovendo sopravvivere nella giungla concorrenziale, affida la gestione ad un management camaleontico, capace di sviluppare un processo decisionale in qualsiasi contesto, senza traumatizzare la mission grazie ad un mutamento appropriato e idoneo a garantirne la continuità operativa. La complessità/rigidità, per contro, si manifesta con l’incapacità e mancanza di volontà degli Amministratori pubblici (politico/amministrativi) di intervenire con tempestività nella prospettiva di un miglioramento, in termini di qualità/efficienza, dei servizi erogati alla comunità locale di riferimento, per:
a)      modificare scelte già deliberate;
b)      affrontare cambiamenti normativi;
in quanto, all’interno dell’Organizzazione, è scarsa la sensibilità nei confronti di un target condiviso e non è recepito alcun pericolo in merito alla sopravvivenza dell’Ente. La Pubblica Amministrazione si presenta come un’organizzazione che, non essendo soggetta alla procedura concorsuale del fallimento, è gestita come un pachiderma, con la conseguenza che non è in grado di cogliere le opportunità derivanti da qualsiasi cambiamento, impattando i risultati in sinuosi meandri procedurali oppure sacrificando potenziali effetti benefici al rispetto formale di regole burocratiche. Proprio per contrastare questa mentalità, ma anche nella direzione del perseguimento dell’obiettivo generale di abbattimento della spesa pubblica, il legislatore è intervenuto con una serie di provvedimenti finalizzati a spingere l’azione amministrativa verso regole gestionali maggiormente aderenti alla realtà, uscendo dallo schema di controllo delle attività fondato sulla burocrazia. Un Amministratore sensibile ai problemi della Comunità che governa, oggi è sempre più consapevole che i servizi pubblici potranno essere di qualità superiore solamente se i processi posti in essere saranno capaci di soddisfare le esigenze della cittadinanza e non se avranno rispettato formalmente i procedimenti amministrativi, che, nel loro contenuto, sono disinteressati all’effettivo bisogno della società di riferimento. Le regole organizzative sulle quali ancora oggi ruota il governo della Pubblica Amministrazione si imperniano su logiche:
a)     giuridico formali - è necessario interpretare rigidamente la norma, considerando solo ed esclusivamente ciò che il dettato dispositivo recita, tralasciando i margini di libertà insiti in ciò che non è disciplinato espressamente;
b)   procedurali - la mancanza di creatività fa sì che è importante “fare e compilare” piuttosto che “pensare e risolvere”;
c)     di competenza - in altri termini, occorre limitare la propria attività a ciò che compete, non interferendo sull’attività dell’Ufficio che ha generato l’input e non coinvolgendo gli Uffici ai quali è diretto l’output;
d)    autoreferenziali - è essenziale rispettare ciò che la forma impone, senza preoccuparsi se la sostanza dei risultati prodotti genera benefici all’utente finale.
Il legislatore, per ciò che gli compete, ha riconosciuto con le norme l’importanza di andare oltre il concetto di controllo di stampo burocratico, inteso come preciso rispetto di formalità, per meglio orientare l’azione amministrativa grazie al supporto strategico del controllo di estrazione manageriale. Conseguentemente, per effetto di valutazioni economiche preventive e prospettiche, sarà possibile migliorare l’allocazione delle risorse (umane, strumentali, tecnologiche e finanziarie) per ottenere risultati apprezzabili in termini di soddisfazione da parte dei diretti interessati. Operando in questa direzione, miglioreranno gli indici di assorbimento dei fattori produttivi, che qualche lettore potrebbe correttamente intendere come sinonimo di minore spreco o maggiore efficienza, rappresentando la genesi per lo sviluppo di ulteriori benefici sociali. Si innescherà un circolo virtuoso di generazione di nuove risorse da quelle esistenti, senza dover chiedere nulla, in termini di risparmio forzoso, ai Cittadini, i quali si troveranno beneficiari di servizi pubblici migliori senza la richiesta di un sacrificio supplementare. La stessa dottrina ravvisa l’esigenza che «per la pubblica amministrazione un punto di svolta decisivo sul piano dell’efficienza e della funzionalità si può avere con il passaggio dallo sfruttamento delle capacità esecutive (controllo burocratico) all’attivazione ed al pieno sfruttamento delle capacità di adattamento dell’azione al mutamento e di rinnovamento dei processi amministrativi (controllo manageriale)» (Elio BORGONOVI - «Azienda Pubblica» - Maggioli Editore). In un contesto caratterizzato sempre più da scenari in continua istantanea evoluzione, l’Amministratore pubblico deve saper affrontare, ma soprattutto risolvere, i bisogni della Comunità, gestendo l’approccio al problem solving con dinamismo, grazie alla combinazione sinergica di tutti gli strumenti a supporto delle decisioni. L’attenzione si sposta, quindi, dal rispetto di regole ridondanti al controllo dei risultati, riducendo il time to market necessario affinché la soluzione prospettata si traduca in linee guida verso l’adozione di provvedimenti idonei a produrre gli effetti desiderati. Coloro che hanno la possibilità di manovrare le leve decisionali all’interno dell’Ente dovranno convincersi, ma più di ogni altra cosa condividere l’idea, che la Comunità di riferimento si aspetta un deciso miglioramento sia dell’efficienza interna, sia dell’efficacia degli interventi. Solo una gestione che ottimizza i costi di funzionamento della struttura pubblica sarà capace di individuare e destinare una quantità maggiore di risorse a processi di produzione ed erogazione di servizi in grado di rispondere, con successo, alle aspettative della cittadinanza. Il perseguimento dell’economicità di gestione, che non deve assolutamente tradursi come taglio di risorse, ma migliore allocazione di quelle disponibili, deve diventare l’obiettivo primario di tutti gli Amministratori pubblici. Essi devono acquisire la consapevolezza che attraverso il potenziamento della struttura, per effetto di un crescente sviluppo delle capacità organizzative interne, si potrà arrivare ad offrire servizi sempre più personalizzati, nel rispetto delle strategie definite a monte e dei vincoli di bilancio tradotti a valle. In un ambiente caratterizzato da una pluralità e complessità di variabili in gioco, si colloca il processo di Controllo di Gestione, come insieme di attività in grado di mettere a disposizione della direzione politico/amministrativa informazioni utili per governare la realtà attraverso l’adozione di politiche razionali. Si tratta di un orientamento di natura economico/aziendale in quanto il carburante che alimenta l’attività del controller è costituito da una gestione razionale delle risorse disponibili, per rendere razionale l’attività di consumo delle risorse non solo finanziarie. In questa direzione, non si può pensare di impostare le attività del Controllo di Gestione senza aver delineato a monte quelle di programmazione, al fine di assicurare, per effetto del continuo confronto obiettivi/risultati, la realizzazione delle finalità dell’Ente. Sotto questo aspetto, il Controllo di Gestione si concretizza in un’attività che per essere efficacemente implementata necessita di una preventiva e capillare analisi delle peculiarità del singolo Ente e della sua organizzazione interna, al fine di comprendere e chiarire cosa si intende per qualità/efficienza ed efficacia e tradurre le definizioni in concreti sistemi di misurazione. Il Controllo di Gestione nell’Amministrazione Pubblica è, quindi, prima di tutto una sfida culturale senza precedenti, dal momento che ogni individuo non percepisce con favore qualsiasi processo di cambiamento che va ad incidere sulla sfera lavorativa. La novità è guardata con sospetto, poiché costituisce un pericolo latente che influenza quell’ambito gestionale conquistato con fatica nel tempo, in altri termini l’orientamento al cambiamento è tradotto come la progressiva perdita di un potere consolidato, che non si ritiene suscettibile di mutamento, sia esso migliorativo o innovativo. Le prime risorse dovranno perciò essere investite nel processo di comunicazione interno nella speranza di far condividere agli Amministratori che il Controllo di Gestione non è finalizzato all’ispezione e alla punizione, ma è uno strumento di guida indirizzato a verificare le attività nell’ottica della ricerca continua del miglioramento. Un Amministratore pubblico particolarmente illuminato che saprà inquadrare il Controllo di Gestione come essenziale strumento di decision support system per la pianificazione strategica, potrà garantire, da un lato, un reale miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa e, dall’altro, un livello qualitativo dei servizi offerti alla cittadinanza sensibilmente migliorato. Il crescente livello di soddisfazione percepito dalla comunità locale si tradurrà in consenso per i risultati raggiunti, ricucendo quello strappo che nel tempo ha progressivamente allontanato il Cittadino dalla gestione dell’Amministrazione Pubblica, nei confronti della quale è invece l’elemento centrale del suo buon funzionamento.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suSemplice n° 7-8/Luglio-Agosto 2013 con il titolo «Introduzione al Controllo di Gestione»

15 October 2013

Il potere della diversità culturale

In Italia, fortunatamente, la libertà di pensiero è tutelata e garantita dalla Carta Costituzionale sin dai tempi del dopoguerra. E' opportunamente e volutamente inserita all’interno di quei principi fondamentali ed inviolabili frutto di un lungo dibattito parlamentare mirato a salvaguardare definitivamente quella libertà di espressione che il recente passato aveva violentemente abolito od impedito. In sede costituente è ancora oggi affascinante osservare e ricordare come dallo scontro di opinioni diverse e, spesso, divergenti sia stata partorita una soluzione condivisa e apprezzata al termine di un processo lento, laborioso e, alla fine, fruttuoso. Questo è potuto accadere solo perché di fronte alla diversità culturale dei membri dell'Assemblea Costituente, l’obiettivo comune e primario, pur nel rispetto reciproco, era quello di comprendere anche le ragioni dell’altro. Oggi, la Costituzione manifesta ancora la sua vitalità, ma quel principio di libertà di espressione appare come sepolto sotto le macerie di un livello culturale arenatosi nella peggiore chiusura mentale di fronte a cambiamenti che non si possono né ostacolare, né fermare. E’ assai difficile immaginare di illustrare il proprio punto di vista ad una platea la cui opinione è orientata in altra direzione. Il rischio è quello di essere interrotti un migliaio di volte e contestato miseramente per ciò che si aveva l’intenzione di sostenere. All’estero ciò non accade. Anzi, se il pubblico è di un certo colore, questo rappresenta uno stimolo a manifestare liberamente un’idea contraria, sperando che insieme alla platea si possa aprire un’ampia discussione. Infatti, il punto di forza non è rappresentato dall’oggetto del contendere e nemmeno dalle differenti opinioni dei convenuti. La più grossa opportunità è offerta dal dibattito che ne può scaturire, dove ciascuno non sostiene più a spada tratta la propria idea, ma la mette in discussione, cercando di trovare dei punti di contatto o di intersezione e non necessariamente elementi di divisione e di lontananza con l’interlocutore. E’ proprio grazie a questa diversità che si può riuscire ad incrementare il patrimonio culturale degli individui e spalancare le porte ad una vera libertà di espressione, manifestata senza la necessità che sia stampata su un foglio di carta o calpestata ad ogni ricorrenza. In Italia, al contrario, si assiste quotidianamente a contraddittori inutili e ridondanti dove la finalità estrema è quella di svergognare la persona che si ha di fronte piuttosto che creare insieme a lui le premesse per una soluzione dei problemi che, non sono mai di parte, ma comuni. L’attenzione dei media si è spostata, probabilmente per questioni di audience o di tiratura, sul gossip anziché ciò che la cultura e la scienza hanno scoperto. E’ più importante concentrare energie e fiumi di parole o di inchiostro sull’ultimo scandalo di palazzo anziché “perdere tempo” a formulare considerazioni su ciò che la diversità culturale contribuisce a costruire. In democrazia non serve avere un esercito di pappagalli perché l’errore non sarebbe mai messo in discussione ed ostacolato nella diffusione, ma ripetuto fino all’ultima eco. Se un argomento susciterà interesse e darà luogo ad un dibattito, l’insegnamento che se ne potrà trarre è solo quello di una profonda soddisfazione. Ma per farlo non occorre andare lontano o fare tanta fatica. E’ solamente richiesto di essere culturalmente diversi.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suIl Nuovo Picchio n° 09/Settembre 2013 con il titolo «Il potere della diversità culturale»

6 October 2013

Elezioni: il prossimo tormentone

L’estate sta finendo …”. Sono trascorsi quasi trent’anni da quando i RIGHEIRA lanciarono questo tormentone di successo. Un leitmotiv che, all’epoca, sanciva con profonda amarezza, da un lato, la fine di una stagione estiva trascorsa all’insegna del divertimento, pur in mancanza di notti bianche, e, dall’altro, l’avvicinarsi inesorabile del periodo più tetro dell’anno. E in un paese a forte vocazione turistica, la fine dell’estate era spesso accompagnata da un velo di tristezza. La Città si ritrovava, come per magia, svuotata di quel via vai quotidiano formato da persone che, più o meno educatamente e rispettose degli usi e costumi incontrati, abbandonavano il luogo di vacanza per rientrare all’ovile e ricominciare a vivere nella routine la propria vita, facendo progetti sul prossimo periodo di ferie. Oggi quello spirito ha subito profonde e radicali modifiche e coloro che abitano nelle località turistiche spesso tirano un sospiro di sollievo all’avvicinarsi dell’autunno. Il turista è visto come un elemento di disturbo e non più come una fonte di ricchezza. Ciò perché laddove mette piede il gitante si creano dei problemi che devono essere sempre risolti a spese dei residenti. Mentre in passato il turista stimolava gli operatori del settore ad offrire servizi sempre migliori, invitandolo a soggiornare con iniziative di intrattenimento, oggi quegli stessi addetti ai lavori pretendono di vivere (o sopravvivere) di rendita, demandando all’Amministrazione Pubblica l’onere di organizzare eventi di attrazione a vantaggio di pochi ed a spese di molti, senza alcun ritorno positivo in termini di servizi offerti alla collettività. L’andazzo generale, pubblico e privato, è orientato al progressivo declino. L’intera società si sta dirigendo a passi lunghi e ben distesi verso un circolo vizioso, inconsapevole e fiduciosa che il tragitto da percorrere per toccare il fondo sia ancora notevole. Le promesse della classe politica emergono con inaudita vitalità quando si sta per avvicinare una competizione elettorale, prospettando cambi di rotta con politiche illusionistiche che non fanno altro che appesantire il piede che preme sull’acceleratore del degrado. Se è vero che non esiste un limite al peggio, corrisponde ad altrettanta verità che è abbastanza facile ragionare in termini alternativi. Occorre smetterla definitivamente di predicare il verbo che fa leva sul miraggio di vedere una luce in fondo al tunnel, per rendersi conto che quel chiarore è il realtà un fuoco che sta lentamente e costantemente bruciando ogni velleità di costruire un benessere diffuso. Questo sarà il destino collettivo se non si vorrà modificare quella filosofia di pensiero che, in tutti questi anni, ha sempre consegnato le chiavi del Paese nelle mani sbagliate. Questo sarà il futuro comune se ci si accontenterà di politiche pubbliche adottate con miopia strategica. Questo è ciò che accadrà se si vorrà continuare a considerare la lungimiranza come attenzione ad occupare il centro del potere più a lungo possibile e non come capacità di vedere al di là del proprio naso (o interesse personale). Se si avrà l’accortezza di cambiare strada, allora le decisioni seguiranno a ruota. I problemi si potranno risolvere, così come potranno essere generate le risorse per un futuro diverso, migliore di quello imperniato su promesse mai mantenute. In alternativa, si potrà continuare ottusamente a pensarla allo stesso modo, riponendo la personale fiducia in coloro che fino ad oggi hanno rappresentato i Cittadini, con risultati più che evidenti. L’importante è sempre essere consapevoli delle proprie scelte, senza poi lamentarsi se il tormentone dance della prossima stagione estiva sia un revival di quello lanciato dagli ART OF LOVE qualche anno fa: “Lo sento dentro”.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 05 ottobre 2013 con il titolo «Elezioni: il prossimo tormentone»