26 November 2013

La responsabilità contabile del dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto

Con il presente articolo, senza porsi la finalità di essere esaustivo, ma nella speranza, invece, di far nascere nel lettore un sentimento di analisi critica della fattispecie in esame, si intende contribuire a fornire un’ipotetica soluzione, attraverso alcune valutazioni tecniche, di un delicato argomento in materia di responsabilità contabile. Nella sostanza, si vuole approfondire un argomento di crescente attualità, che, se non collocato nel corretto alveo giuridico, può costituire la sorgente di una fonte di diatriba all’interno dei processi decisionali di un Ente Locale: la nomina ad agente contabile del dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto. Senza entrare nel merito di una idonea allocazione, nell’organigramma dell’Amministrazione, del personale cui è stata assegnata la mansione relativa all’approvvigionamento e successiva erogazione dei buoni pasto, l’obiettivo prefissato è quello di chiarire tecnicamente un dilemma che spesso ci si trova ad affrontare, ossia se considerare coloro che gestiscono i buoni pasto dei semplici agenti amministrativi oppure inquadrarli nell’ampia sfera degli agenti contabili. In materia la dottrina, generalmente, distingue tra due differenti gestioni:
a) amministrativa, in altre parole quella che si manifesta attraverso il potere dispositivo di beni, ma non nella concreta gestione di denaro o valori;
b) contabile, ovvero quella che si esplicita attraverso l’effettiva disponibilità, cui ne consegue il maneggio, di denaro o valori.
In quest’ultimo caso, in particolare, il responsabile della gestione contabile deve predisporre, ai sensi dell’articolo 611 del Regio Decreto n° 827/1924 «Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato», un documento rappresentativo delle operazioni effettuate (conto giudiziale) da rendere alla Corte dei Conti, per il tramite dell’Amministrazione di appartenenza. Conseguentemente, alla luce di quanto esposto sinteticamente, la responsabilità amministrativa differisce da quella contabile in quanto la prima può essere fonte di un illecito erariale causativo di danno, mentre la seconda impone la dimostrazione di una corretta gestione, attraverso l’obbligo generale di rendicontazione, che insiste su quella particolare e analitica, accollato a tutti i soggetti pubblici, che trova la sua consacrazione nell’articolo 81 della Carta Costituzionale. Specifica e dettagliata disciplina sul tema della responsabilità contabile si rinviene, altresì:
a) nel Regio Decreto n° 2440/1923 «Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato» - articoli 74, 84 ed 85;
b) nel Regio Decreto 827/1924 «Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato» - articolo 178 e seguenti;
c) nel Regio Decreto n° 1214/1934 «Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti» - articolo 52;
d) nel DPR 3/1957 «Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato» - articolo 21.
Entrando più propriamente nel merito dell’oggetto di cui alla presente trattazione, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 18 novembre 2005 «Affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa» nell’enucleare alcune definizioni, esplicita in modo chiaro ed inequivocabile che il buono pasto non è convertibile in denaro, pur avendo un valore facciale, dando esclusivamente diritto, al possessore, alla somministrazione di un servizio. Non esiste, quindi, alcun dubbio che il buono pasto, pur non potendo essere convertito in denaro, costituisce, tuttavia, un valore di cassa “interno” (alla pari dei valori bollati), la cui quantificazione è corrispondente a quella facciale stampata sul documento cartaceo che lo materializza. Pertanto, in base alle considerazioni esposte, può sorgere il dubbio, qualora i buoni pasto non siano condotti nella definizione di “valore di cassa”, se al personale responsabile della loro gestione si possa o meno attribuire il beneficio economico previsto dall’articolo 36 «Indennità maneggio valori» del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) sottoscritto il 14 settembre 2000 (code contrattuali) del Comparto «Regioni/Autonomie Locali». Infatti, il contenuto esclusivamente letterale del citato articolo 36 non fa alcun esplicito riferimento a cosa si intende per “valore di cassa”, il quale, tuttavia, può trovare ampia trattazione all’interno del Contratto Decentrato Integrativo, attraverso un’estensione dell’interpretazione alla fattispecie dei buoni pasto. Operando in questa direzione, il Contratto Decentrato Integrativo sarebbe così investito, tra l’altro, della responsabilità di individuare in maniera inconfondibile i soggetti percettori dell’indennità derivante dal maneggio valori e non solo di quella legata alla definizione dell’entità monetaria da erogare, scegliendola nell’intorno di un intervallo che si colloca tra un minimo di euro 0,52= (ex lire 1.000=) ed un massimo di euro 1,55= (ex lire 3.000=), naturalmente, proporzionato al valore medio mensile dei valori maneggiati ed in funzione delle giornate nelle quali il dipendente è effettivamente adibito al servizio in questione. E’ interessante, inoltre, osservare come il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro citato non faccia alcuna specifica allusione al fatto che colui che maneggi valori e, per conseguenza, risulti titolare del diritto all’indennità relativa, sia automaticamente investito della qualifica di agente contabile oppure debba trovare la sua legittimazione in un formale provvedimento di nomina. Giuridicamente la nozione di agente contabile si estrapola dall’articolo 74 del Regio Decreto n° 2440/1923 «Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato» che lo distingue in:
a) agente della riscossione;
b) agente pagatore o tesoriere;
c) agente consegnatario.
L’agente consegnatario, quindi, non solo è qualificato ex lege come agente contabile, ma, nel rispetto del combinato disposto dei commi 1 e 5 dell’articolo 29 del Regio Decreto n° 827/1924 «Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato», è personalmente responsabile dei beni ricevuti in custodia, fino a che non ne abbia ottenuto legale discarico, rispondendo anche della variazione che subisce l’entità dei crediti a lui affidati. Nella prospettiva di contribuire oggettivamente sull’argomento, si premette che il buono pasto si può serenamente considerare, a tutti gli effetti, un “bene” sia sotto il profilo economico, sia sotto quello giuridico. Nello specifico, il “bene” è considerato:
a) dalla teoria economica, come «ogni mezzo materiale e immateriale ritenuto idoneo a soddisfare un bisogno». In altre parole, affinché si possa classificare qualcosa come “bene” è necessario, in ambito economico, che questo sia in grado di fornire una qualunque utilità e, contemporaneamente, sia dotato di un prezzo positivo;
b) dalla giurisprudenza, come «le cose che possono formare oggetto di diritti», nel rispetto del dettato dell’articolo 810 del Codice Civile.
Alla luce di quanto sopra affermato, si può realisticamente comprendere e condividere come il buono pasto possa rientrare nella definizione di “bene” sotto l’aspetto sia economico, sia giuridico. Infatti, il buono pasto:
a) economicamente:
- è idoneo a soddisfare un bisogno (quello di mangiare);
- fornisce un’utilità, in quanto è manifestamente esplicita l’esistenza di un bisogno, che trova corrispondenza nel bene;
- è dotato di un prezzo positivo, in quanto è palese la presenza di un mercato nel quale il buono pasto è acquistato/scambiato;
b) giuridicamente:
- forma oggetto di un diritto (quello alla somministrazione di un servizio);
- è mobile, in quanto può essere trasferito fisicamente.
Pur non esistendo ad oggi una specifica pronuncia da parte della Magistratura nella direzione di eliminare ogni forma di personale interpretazione circa l’obbligo di rendicontazione, attraverso il conto giudiziale, per il dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto, si ritiene che lo stesso, alla luce delle osservazioni formulate, rientri tra gli agenti contabili ex lege e che, pertanto, il suo ruolo debba essere regolato attraverso un formale atto di nomina all’interno dell’Ente di appartenenza. Tuttavia, nonostante il buono pasto negli Enti Locali, ma più in generale in tutta la Pubblica Amministrazione, si possa considerare una conquista recente, già in tempi non sospetti e a sostegno delle tesi elaborate, era intervenuta la Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio - che, con Sentenza n° 12/98/R, nel condannare un dipendente di un Ente Pubblico per aver sottratto buoni pasto, precisava «(omissis) ... Particolarmente grave appare il fatto che egli non abbia mai presentato un rendiconto, che è indispensabile atto contabile nei servizi a denaro e per valori ... (omissis)». Pertanto, qualora l’Ente Locale non abbia provveduto, per dimenticanza o altro, agli adempimenti di cui all’articolo 233 - comma 2, lettera a) - del Decreto Legislativo n° 267/2000 «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», non significa che i dipendenti responsabili della gestione dei buoni pasto, siano esonerati dal rispettare gli obblighi previsti per gli agenti contabili. Sarebbe opportuno che coloro che sono chiamati in prima persona nel processo decisionale all’interno delle Amministrazioni Pubbliche, in assenza di precise disposizioni in merito ad argomenti delicati, soprattutto se fonti di potenziale addebito di responsabilità, uscissero dall’arcaico schema secondo il quale tutto ciò che la legge non dice espressamente è vietato. Per opportuna conoscenza, si ricorda che l’articolo 103 della Costituzione prevede chiaramente l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti nelle materie di contabilità pubblica e che, pertanto, qualunque disposizione che limiti o, addirittura, esoneri da tale giurisdizione è da ritenersi costituzionalmente non corretta. L’adozione di qualsivoglia provvedimento, così come un comportamento omissivo, che si traduca in un’esenzione dell’agente contabile ex lege dall’obbligo di presentare il conto giudiziale è da considerare costituzionalmente illegittimo, non solo perchè contrasta con il principio di uguaglianza di tutti i cittadini, ma in quanto da esso deriva l’indisponibilità del diritto pubblico all’accertamento obbiettivo della correttezza di gestione. Nella speranza di aver contribuito alla risoluzione di una potenziale minaccia, con particolare riguardo alla tutela degli interessi del personale cui è affidata la responsabilità della gestione dei buoni pasto, si spera che, attraverso un banale atto amministrativo, si provveda a regolare una posizione, che, in futuro, potrebbe avere conseguenze ancor più gravi rispetto all’applicazione di una norma generale di buon senso.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suSemplice n° 1/Gennaio 2007 con il titolo «La responsabilità contabile del dipendente incaricato della gestione dei buoni pasto»

14 November 2013

Quale futuro per la Città di oggi?

Il sociologo polacco Zygmunt BAUMAN, in un libro che pone in discussione la vita quotidiana delle persone nelle Città, sostiene che quest'ultime «sono diventate delle discariche per i problemi causati dalla globalizzazione. I Cittadini e coloro che sono stati eletti come loro rappresentanti, vengono messi di fronte a un compito che non possono neanche sognare di portare a termine: il compito di trovare soluzioni locali alle contraddizioni globali». Il passaggio è tremendamente coinvolgente perché, oggi, la Città ha a disposizione gli strumenti per superare quelle incompatibilità imposte dal fenomeno della globalizzazione: sarebbe sufficiente compiere uno sforzo per individuare nuove politiche pubbliche. I bisogni della Comunità di riferimento possono, se si vuole, trovare ampia soddisfazione con azioni improntate all’erogazione di servizi di qualità ed efficienti. Comportamenti orientati in questa direzione devono, però, trovare adeguato fertilizzante nelle risorse prodotte da un terreno che abbia la capacità di sostenerli, senza perdere di vista la propria identità. Ad una domanda di servizi generata “dal territorio” che si governa, occorre rispondere con un’offerta di servizi “per il territorio”, per impedire che i sacrifici compiuti si disperdano altrove senza produrre gli effetti sperati. Ciò non significa chiudersi a riccio nella difesa estrema del campanile, con il rischio di essere schiacciati al primo rumore di fondo, semmai ampliare il campo visivo per acquisire piena conoscenza delle peculiarità del comprensorio circostante. Lo storico inglese Thomas FULLER asserì che «gli uomini, non le case, fanno la Città», che oggi è sempre più un bivio tra opportunità e frustrazioni, decadenza e sviluppo, benessere e paura, dove fioriscono problemi, ma, allo stesso tempo, può trovare residenza il più grande serbatoio di creatività per «rendere più umana la società degli uomini». In altre parole, prendendo a prestito uno slogan coniato da una multinazionale di successo, quello che dovrebbe fare un Amministratore locale serio, credibile e capace è “pensare globale per agire locale”.
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suhttp://cambiamentoorg.blogspot.com il 16 settembre 2010 con il titolo «Quale futuro per la Città di oggi?»

3 November 2013

"It's the economy, stupid!"

Quando nei primi Anni ’90 l’America decise di cambiare registro, lo slogan che influenzò l’allora opinione pubblica era, al tempo stesso, banale e profondo. Banale perché non erano necessari anni di studio oppure una conoscenza approfondita della materia per comprendere cosa, nel fare politica, non deve mai essere tralasciato o abbandonato nel dimenticatoio. Profondo perché con quel motto si voleva andare a colpire, con una chiarezza espositiva fuori dal comune, l’attenzione e la coscienza di milioni di americani. Oggi, quel manifesto dovrebbe fare da guida all’intera classe politica italiana (locale e nazionale) impegnata quotidianamente a litigare per assumere decisioni pubbliche che andranno ad impattare negativamente sul futuro non solo delle giovani generazioni, ma anche su quello dell’intera collettività, senza pietà od esclusione di sorta. Qualcuno potrebbe legittimamente osservare che si tratta di un’automatica applicazione della legge della natura, dove è il più forte a prevalere ed il più debole a soccombere, lasciando campo libero ad una schiera di individui senza scrupoli nei confronti di iniziative volte a migliorare il benessere sociale. Ciò si verifica perché i programmi e le proposte elaborati sono spesso il frutto di improvvisazioni guidate da pruriti personali, piuttosto che inquadrati in un contesto che abbracci le effettive esigenze altrui. Non occorrono luminari della scienza, ma è sufficiente un minimo di coscienza, limitandosi a far tesoro del monito lanciato da Albert ACREMANT: «Quando prendiamo una decisione, dobbiamo sempre pensare alle conseguenze che essa avrà sugli altri». Infatti, è in questa ottica che quello slogan usato in campagna elettorale, “It’s the economy, stupid!”, si proponeva l’ambizioso obiettivo di mettere in luce come una politica miope e sterile non avrebbe portato da nessuna parte, se non nella univoca direzione di salvaguardare gli interessi parziali a scapito del benessere dell’intera Comunità. Ed è proprio in uno scenario come quello prospettato che si inseriscono, senza il minimo sforzo, mirabolanti promesse arringate intorno ad un tavolo. Non serve sprecare tempo a studiare quali accorgimenti adottare per la creazione di uno specifico fondo, perché quello è già stato toccato da un pezzo e, forse, è giunta l’ora di iniziare a scavare. L’economia di un paese non è come la gestione di un cassetto dove a furia di arrabattarsi si corre il rischio di rompersi le unghie per poi scoprire, con amara tristezza, che nel fondo si potrà trovare solo qualche granello di polvere se non nulla. Così come è priva di qualsiasi utilità illudere i Cittadini di volerli premiare (con denaro pubblico) se dimostreranno di essere “virtuosi”, ossia se rispetteranno i principi e le regole che si ispirano alla convivenza civile. Uno squallido tentativo per ringraziarli di ergersi a “cittadini modello” in una società indisciplinata, contribuendo, con il denaro pubblico, ad alleviare le loro sofferenze tributarie. Peccato che, nel formulare allettanti promesse di puro stampo elettorale/propagandistico, tali da far roteare, come in una slot machine, il simbolo del dollaro nei bulbi oculari dei votanti, spesso sono ignorati elementari principi non solo di equità e giustizia, ma addirittura le più elementari regole del dovere civico cui deve ispirarsi il comportamento di ogni appartenente alla società civile. Senza considerare, in ultimo, quei principi economici che, sulle orme dell’insegnamento del “Rasoio di Occam”, spingerebbero chiunque ad esclamare: “It’s the economy, stupid!”. Le regole, per definizione, vanno rispettate e nessun premio deve essere promesso ed erogato in cambio della loro osservanza. Non fornisce alcun beneficio alla collettività perfezionare l’educazione di chi è già in possesso di questo qualità. Occorre, al contrario, agire per riequilibrare il comportamento di chi ignora l’esistenza della buona condotta. Non servono particolari tecniche per spiegare la validità di una simile teoria. In un concorso a premi il primo classificato sarà sempre, e solo, uno e non sarà mai incentivato a migliorare, perché gli sarà sufficiente dimostrare di essersi comportato un infinitesimo meglio degli altri per ricevere la ricompensa, senza aver contribuito, in contropartita, all’accrescimento del benessere sociale. Inoltre, si è epistemologicamente ignorato l’assioma secondo il quale l’elargizione di un premio con denaro pubblico andrà a peggiorare la condizione sociale non solo dei perdenti, ma anche quella del vincitore. Al contrario, una politica rieducativa, imperniata su strumenti alternativi al sistema delle ricompense, potrà garantire un benessere sociale superiore sia al vincitore, sia, paradossalmente, ai perdenti. Ma non c’è da meravigliarsi di fronte a simili boutade, perché lo stesso Franklin Pierce ADAMS ci aveva già messi in guardia: «Il problema di questo paese consiste nel fatto che ci sono troppi uomini politici che credono, con la certezza che deriva dall’esperienza, che si possa ingannare tutto il popolo in ogni momento».
AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 02 novembre 2013 con il titolo «"It's the economy, stupid!"»