17 May 2014

Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (seconda e ultima parte)

(segue)

Oggi chi pretende, senza alcuna umiltà, di essere in grado di assumersi le responsabilità connesse alla guida di un Paese parte dal presupposto che tutto ciò che è stato fatto in precedenza è sbagliato e, quindi, è necessario correre ai ripari. Poiché da un'analisi a 360° dello stato dell'arte emerge che i problemi non sono mai stati affrontati e risolti, ciò significa che in passato non è stato fatto proprio nulla. Questo comporta automaticamente che non essendo possibile porre rimedio al nulla, tutto ciò che ogni "Programma di Mandato" promette di fare corrisponde miseramente ad una gigantesca ed autentica presa in giro. Non è un caso se lo stesso Aristotele ("Politica", IV secolo B.C, e "Etica Nicomachea", IV secolo B.C.) si trovava perfettamente in sintonia con il poeta greco Agatone sul fatto che nemmeno Dio era in possesso di poteri divini in grado di modificare il passato. Da ciò, pertanto, discende la immediata dimostrazione che la "scelta ottimale" non alberga nemmeno in colui che, nascondendosi dietro facili promesse, crede di poter fare meglio di chi lo ha preceduto. Gli scettici (intesi come coloro che non vogliono capire) potrebbero giustamente obbiettare che questa è pura e semplice teoria filosofica, mentre la realtà dei fatti è profondamente differente perché, in fin dei conti, le scelte avvengono nel rispetto di regole democratiche. In democrazia, però, si tende con facilità a travisare i fatti: chi vince non ha il diritto di governare e chi perde il dovere di controllare. E' esattamente l'opposto! Ritornano, quindi, in campo i cosiddetti "interessi personali" che ruotano intorno alla decisione di avanzare la propria candidatura. Interessi il cui perseguimento non andrà nella direzione di assumere decisioni capaci di generare un miglioramento economico sociale (o di benessere collettivo), anche quando sono prese a maggioranza. L'economista indiano Amartya SEN ("Development as Freedom", 1999) illustra magistralmente questo principio, precisando che l'esistenza di una regola di maggioranza non è idonea nemmeno per iniziare ad affrontare un dibattito economico: «Consideriamo il caso di tre persone, dai nomi (di poca fantasia) di UNO, DUE e TRE, che debbano dividersi una torta, e supponiamo che ciascuna delle tre voglia massimizzare la propria fetta ... (omissis) ... Prendiamo adesso una divisione qualsiasi della torta tra tutte e tre le persone: possiamo sempre introdurre un "miglioramento per la maggioranza" togliendo ad una di loro (per esempio a UNO) una parte della sua fetta e dividendola fra le altre due (cioè tra DUE e TRE). Ora il "miglioramento" ci sarebbe, anche se la vittima di turno (vale a dire UNO) fosse la più povera delle tre. Anzi, possiamo sempre continuare a portare via alla persona più povera una parte della sua fetta e dividere il bottino fra e é non resta più niente da portare via alla povera UNO». Questo esempio rende perfettamente l'idea di quale catena di miglioramenti sociali sia possibile realizzare, ovviamente dal punto di vista della maggioranza! E se il potere maggioritario finisce in mano a chi persegue interessi privati, allora è facilmente prevedibile quale incremento di benessere collettivo si potrà conseguire. Anche Adam SMITH ("The Theory of Moral Sentiment", 1759, e "The Wealth of Nations", 1776), qualche secolo prima, aveva sostenuto che coloro che perseguono interessi privati, agiscono per il loro "naturale egoismo" e la loro "naturale rapacità", solo per soddisfare "vani e insaziabili desideri". Quindi, se neanche la presenza di un regime democratico è in grado di indirizzare verso una "scelta ottimale", quale altra strada può essere percorsa per individuarla? Un'alternativa potrebbe essere quella di non concentrare la propria opinione sul leader e nemmeno formulare giudizi sulla compagine che ne accompagna la candidatura. In altre parole, si potrebbe ragionare a ritroso, ponderando attentamente la qualità dei soggetti che pur potendo appartenere ad una lista ne sono stati esclusi o, per diverse ragioni, ne è stata preclusa l'appartenenza al gruppo. Nel 122 B.C. gli autori dello "Hui-nan Tzu" ponevano la questione in altri termini: «Se il regolo misuratore è vero, il legno sarà dritto, non perché facciamo particolari sforzi per renderlo tale, ma perché è ciò che da cui esso è "regolato" a renderlo tale. Allo stesso modo, se il governatore è sincero e retto, nel suo governo serviranno onesti ed i furfanti correranno a nascondersi, ma se il governatore non è retto gli uomini malvagi prevarranno e gli uomini fedeli si ritireranno in solitudine». In definitiva, la questione che l'elettore si trova di fronte è solo una: "Per chi votare?". Sulla base di tutte le osservazioni formulate in precedenza, emerge con lapalissiana evidenza come il mercato elettorale sia viziato da asimmetria informativa tra coloro (i candidati) che vendono un prodotto (il cosiddetto "Programma di Mandato") e coloro (gli elettori) che devono acquistarlo (attraverso il voto). Il funzionamento di questo mercato, con tutte le conseguenze che ne derivano, può essere assimilato a quello delle auto usate dove la qualità delle stesse è nota ai venditori, ma non ai compratori ed il rischio per questi ultimi è quello di acquistare veicoli di bassa qualità, che l'economista George AKERLOF ha definito "lemons", pagandoli a caro prezzo ("The Market for "Lemons": Quality Uncertainty and the Market Mechanism", 1970). Ci si deve, quindi, aspettare che le elezioni si traducano in un altro mercato dei "limoni"?.

(fine)

References:
- AA.VV., "Hui-nan Tzu", 122 B.C;
- George AKERLOF, "The Market for "Lemons": Quality Uncertainty and the Market Mechanism", 1970;
- Aristotele, "Etica Nicomachea", IV secolo B.C.;
- Aristotele, "Politica", IV secolo B.C.;
- Amartya SEN, "Development as Freedom", Oxford University Press, 1999;
- Adam SMITH, "The Wealth of Nations", 1776;
- Adam SMITH, "The Theory of Moral Sentiment", 1759.


AutoreEmanuele COSTA
Pubblicato suwww.tigulliana.org (nella Rubrica "Diritto di Parola") del 17 maggio 2014 con il titolo «Elezioni: un altro mercato dei "limoni"? (seconda e ultima parte)»

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